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L'opportunità dell'idrogeno verde

Devo iniziare con una premessa dal carattere personale riguardo il tono con cui voglio esprimere le mie convinzioni. Voglio evitare il sensazionalismo da articolo medio sulle tematiche ambientali che tanto nuoce al dibattito nel settore. Troppo spesso ci si arroga il possesso di una soluzione ai grandi problemi del nostro tempo sventolando uno studio scientifico o scrivendo un piano di decarbonizzazione comunitario: il primo magari finanziato da una qualche lobby e confutabile dagli omologhi commissionati dai poteri opposti, il secondo basato su previsioni fantascientifiche e sottomesso alla politica. Personalmente, nutro consistenti dubbi sui sogni verdi tratteggiati dai cronoprogrammi europei e sugli stimoli a tecnologie come l’auto elettrica o l’idrogeno, propagandati come impellenti e risolutivi. Nell’ipotesi più disincantata e utilitarista mi limito a constatare che l’idrogeno verde avrà nel prossimo futuro una domanda crescente in Europa: anche solo per alimentare l’automobile all’ultimo grido, per pubblicizzare la sostenibilità della propria azienda o della propria azione di governo. Proprio su questa opportunità di mercato, ancor prima che sul guadagno ecologico, si innesta il mio invito al sistema paese Italia a fare squadra e ad essere l’avanguardia sulla tecnologia.

L’idrogeno “verde” (H2) viene prodotto tramite elettrolisi dall’H2O; la reazione avviene in un elettrolizzatore, con consumo di energia elettrica. L’idrogeno può poi essere speso in una cella che produce nuovamente corrente elettrica, oppure può essere bruciato: esso è quindi una sorta di “batteria” che accumula l’energia per poterla usare all’occorrenza. Nell’ottica di un azzeramento delle emissioni carboniose, esso potrà tornare utile nei settori del trasporto navale, aereo e su gomma pesante, per cui le classiche batterie al litio sono sconvenienti. Ugualmente ne potranno beneficiare alcuni settori industriali dalle particolari esigenze, come chimica, cemento e siderurgia. Inoltre l’idrogeno sarà uno strumento di accumulo dei picchi produttivi delle rinnovabili: il fotovoltaico produce solo di giorno e l’eolico con la massima discontinuità. Questa tecnologia si rivela fondamentale alla luce delle strategie europee e nazionali che prevedono un ruolo di primo piano per queste due fonti energetiche.

I limiti di tale strategia però sono lampanti: per raggiungere il 100% di produzione energetica ecologica dovremmo piantare pale eoliche e pannelli solari in ogni dove, sottraendo spazio alla nostra agricoltura d’eccellenza, deturpando campagne, secolari tetti nei centri storici e paesaggi invidiabili (magari mete turistiche).

Una possibile soluzione per non rovinare il nostro territorio e anzi acquisire una posizione di vantaggio nel mercato energetico europeo? Guardare a sud.

La sponda meridionale del Mediterraneo offre sterminate distese sabbiose e assolate dove istallare impianti fotovoltaici ed elettrolizzatori per idrogeno. La posizione geografica del bel Paese ci candida a centro di smistamento europeo dell’idrogeno nordafricano, come già siamo oggi per il metano. L’Italia infatti è già collegata direttamente tramite gasdotti a Libia, Tunisia e Algeria. La nostra Snam spa possiede poi la prima rete di distribuzione gas in Europa e ha già stabilito primati incoraggianti: nel 2019 per la prima volta nel continente ha alimentato utenze industriali con un miscuglio di metano-idrogeno al 5% e poi al 10%; nel 2021 ha alimentato per la prima volta al mondo un’acciaieria con una miscela al 30% di idrogeno senza modifiche agli impianti. Secondo l’azienda il 70% delle tubature gas italiane sono già compatibili con l’idrogeno e per quelle porzioni di rete basterebbero solo modifiche mirate e relativamente economiche. Secondo gli studi Snam inoltre, l’idrogeno africano, a medio termine, può costare il 10/15% in meno di quello nostrano, dunque c’è margine per essere competitivi nella fornitura continentale.

Non c’è solo il gruppo di San Donato Milanese a guidare la sperimentazione: uno studio del forum Ambrosetti colloca l'Italia al secondo posto europeo per tecnologie e capacità industriali collegate all’idrogeno. Oltre ad una miriade di medie imprese, le due grandi realtà nazionali più interessate sono Enel ed Eni: la prima è l’azienda che produce più elettricità pulita al mondo ed una delle prime fabbricanti italiane di pannelli fotovoltaici, la seconda è la prima azienda chimica italiana e dunque una vorace consumatrice di idrogeno. Tale consumo sarà reso sostenibile nei prossimi anni da una collaborazione proprio tra queste due società. Sempre il colosso petrolifero Eni ha avviato un progetto per la produzione di idrogeno blu, ovverosia ottenuto da fonti fossili, ma con la cattura della CO2, che viene infine stoccata nei giacimenti esauriti di gas naturale in Adriatico. Parlando di Nord Africa poi, ricordiamo che Eni estrae idrocarburi nel deserto da 60 anni e possiede una solida struttura da cui partire per investire in quei paesi. Il presidente Draghi è volato in Libia qualche mese fa per rilanciare la collaborazione con la nostra quarta sponda e guarda caso si è parlato anche di un primo progetto Eni per il fotovoltaico.

I più maliziosi si chiederanno come possiamo affidare parte della nostra produzione energetica a paesi così instabili. A tal proposito penso che occorra ribaltare il rapporto con la questione: perché la Libia e il Nord Africa in generale sono un teatro geopolitico fondamentale per il nostro paese, non solo in ambito energetico (già oggi ci approvvigioniamo di idrocarburi), ma anche sul fronte della gestione delle migrazioni e della lotta al terrorismo islamico. Siamo noi a dover abbandonare la posizione attendista e subalterna degli ultimi anni ed essere protagonisti della stabilità di quei paesi, dove già oggi riponiamo delicatissimi interessi.

Possiamo dire allora che ci sono incoraggianti premesse per una corsa all’idrogeno africano con rinnovata coesione nazionale. Tutto sta a muoversi rapidamente, prima degli altri, e ad avere un saldo controllo sulle infrastrutture. Qui entra in gioco lo Stato, che per buona parte influenza Snam, Enel ed Eni: tutte partecipate circa al 30%. Un progetto di tale portata necessita inoltre di una decisa azione diplomatica e di supporto negli investimenti, assai onerosi.

Questa volta possiamo (dunque dobbiamo) rinunciare al facile compromesso con le multinazionali e la finanza straniera, che troppo spesso lasciamo infiltrare nelle nostre filiere in virtù dei decantati “investimenti esteri”. La nostra economia può essere degna di una “potenza” solo se smette di essere acefala e acquista l’indipendenza di un vero Sistema Italia, che sa porsi scopi ambiziosi e perseguirli compattamente.

Voglio concludere ricordando che questo sogno di indipendenza energetica e di potenza ricalca quello di un’altra Italia e di un’altra generazione. Erano i primi anni '50, il paese era in macerie, eppure seppe esplodere il “boom economico”. Tra i protagonisti di quella stagione lo spregiudicato patriota energetico Enrico Mattei, che alla testa dell’Eni, sfidò e vinse le presunte inattaccabili oligopoliste del settore petrolifero, garantendo energia a basso prezzo e posti di lavoro.

Forse non avremo mai la certezza sugli autori della morte del presidente Eni, ma da quel 27 ottobre 1962, l’Italia non ha mai smesso di necessitare di un nuovo Mattei.




Storia di Enrico Mattei:

https://www.youtube.com/watch?v=NhuknjakLX4


Bibliografia:

https://www.snam.it/it/transizione_energetica/idrogeno/snam_e_idrogeno/

https://www.eni.com/it-IT/attivita/idrogeno-energia-pulita-strategia-eni.html

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