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Fuoco e tradizione: la Giöbia

Tornano su Il Carroccio gli articoli di approfondimento sulle tradizioni locali lombarde!


Una tradizione dall’origine antica, che si perde in rituali di origine pagana e rurale sotto numerosi aspetti (dalla presenza del fuoco, al periodo di fatto coincidente) accomunabile o da far risalire alla festività celtica di Imbolc, nota dopo la cristianizzazione come "Lá Fhéile Bríde" (giorno di Santa Brigida) nelle terre di lingua gaelica: una festa che celebrava la fine della stagione invernale e il progressivo ritorno della luce e della Primavera. La celebrazione consisteva in una veglia comunitaria e nell’accensione di fuochi e candele, appunto per celebrare l’allungarsi delle giornate.





Pur attraverso trasformazioni e cambiamenti, questa tradizione, che vede come suo elemento principale e caratterizzante il celebre rogo sul quale è bruciato il fantoccio appunto della Giöbia, questa figura la cui origine è avvolta nel mistero di un tempo antico e la cui figura varia di zona in zona, è ancora oggi profondamente radicata nella coscienza collettiva delle comunità che popolano i territori dal Piemonte orientale fino ad alcuni paesi delle province di Lecco e Como, passando per il Varesotto e l’Alto Milanese.


Il fatto che goda di una diffusione così ampia ci permette da subito di vedere come si tratti di una festa importante e sentita che, pur avendo attraversato addirittura i millenni e nonostante stravolgimenti religiosi, politici e culturali avvenuti nelle nostre terre, è sempre stata mantenuta e tramandata dai nostri avi di generazione in generazione.


Le sue origini si perdono, come accennato nell’introduzione, nelle antiche tradizioni contadine, che vedevano e vivevano l’anno come scandito da ricorrenze periodiche, spesso passaggi da una stagione all’altra e sottile confine tra tempi di luce e di buio. In particolare, la Giöbia, essendo celebrata l’ultimo Giovedì di Gennaio o comunque intorno alla fine del mese, è da sempre associata ad un’idea di rinascita, richiamata dal gesto rituale di bruciare simbolicamente il vecchio anno per augurarne uno migliore, offrendo parte del raccolto per propiziarne uno migliore per l’anno seguente.


Tuttavia, nel corso dei secoli, dopo essere rimasta parte integrante della cultura popolare anche a seguito della cristianizzazione, questa tradizione ha ovviamente (e fortunatamente, per chi ancora apprezza le specificità e sfumature che solo la dimensione locale sa darci) conosciuto e visto nascere all’interno della narrazione popolare numerose varianti territoriali, legati a racconti che la ricollegano a differenti figure femminili, dalle allusioni alla grande Madre, ad una semplice vecchia o il più delle volte ad una strega, descritta nelle più svariate maniere. Questo fatto, ovvero l’aver assunto varianti così eterogenee da parte di questa tradizione, pur partendo da un’antichissima radice comune, è l’aspetto più affascinante e che più dovrebbe colpire tutti gli appassionati della cultura locale dei nostri Territori.


Ma, mettendo da parte la storia e tornando al giorno d’oggi, possiamo vedere come, pur avendo perso gran parte dei suoi significati pagani e legati al mondo dell’agricoltura, la festività conserva più che mai un semplice, ma fondamentale, valore folkloristico; per questo non c’è da stupirsi se spesso vediamo accompagnati alla celebrazione del rogo altri rituali decisamente più mondani, ma parte integrante della nostra cultura locale, come il mangiare ül risót cunt la lüganega (il risotto allo zafferano con la salsiccia) accompagnato da un caldo vin brulee. Tradizioni minori che fanno da corollario a quella principale, la tradizione regina di questa notte fredda e magica, avvolta dalle fiamme e da un fascino squisitamente locale.

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