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Immagine del redattoreGiulio Solzi Gaboardi - Direttore

L'Editoriale – Orfani di cultura? Il caso di Torino

Francamente, mi sembra davvero allucinante dovermi esprimere su quanto accaduto al Salone del libro di Torino. Tutto come previsto. La solita passerella progressista, femminista o sticazzista ha contestato il ministro alla Famiglia, Eugenia Roccella. Prenderne una per cazziarli tutti: chi ha preso parola per manifestare il proprio dissenso, infatti, ha colto l'occasione per imbastire un bel comizio che spaziava dalle tematiche ambientali al tema dell'aborto (in tutto questo la Roccella avrebbe la sola "colpa" di essere fermamente contraria all'utero in affitto, che tra l'altro – notiziona – in Italia è reato). Insomma, il solito pippone del "non-ci-va-bene-una-fava", tipico di chi, né con la vita reale, né con le vere battaglie ideologiche, ha mai avuto a che fare.



Così, il Salone del libro – neanche a dirlo – è stato anche quest'anno la lurida trincea del fronte che si dice "progressista". Così profondamente e convintamente progressista da impedire fisicamente alla povera Roccella di presentare il suo libro. Il direttore del Salone, Lagioia, fa lo gnorri – ma toh! – e dice, testuali parole, che "in democrazia le contestazioni sono legittime se non violente". "E grazie al C. – verrebbe da dire – caro Lagioia". Ma quando a destra si contesta il suprematismo radical chic - che è la raison d'être del Salone stesso - siamo squadristi; quando i vostri vandali impediscono a qualcuno di parlare è democrazia. E qui è fin troppo facile rievocare quel famoso "fascismo degli antifascisti" di cui parlava Pasolini. Ma a sinistra, tanto, Pasolini lo si tira fuori solo quando fa comodo: eppure lui stesso scriveva: "Io sono una forza del Passato / solo nella tradizione è il mio amore": altro che progressismo radical chic.


In tutto questo, il problema che mi sembra molto più pressante è la necessità di toglierci di dosso questa sorta di complesso di inferiorità che ci attanaglia. Il Salone del libro non va boicottato, va espugnato e conquistato. Da decenni, a sinistra si costruisce un sistema basato fondamentalmente sul dominio politico di ogni tipo di ente e settore culturale. Oggi, con una sinistra debole e un centrodestra unito, si presenta davanti a noi la ghiotta opportunità per rimescolare le carte in tavola. Opporre alla cripto-dittatura liberal-progressista un'idea di cultura pluralista, democratica, ma che affondi saldamente le sue radici nella bellezza della tradizione.


Per questa ragione, è necessario per noi riconoscere una sorta di sacrario, di biblioteca di riferimento. Sapere da dove attingere per sviluppare la nostra idea di cultura. Perché quello che ci manca è proprio questo: la consapevolezza di un sostrato culturale floridissimo, che abbiamo e che spesso non sappiamo riconoscere, o comunque far valere.


Eppure bastano alcuni nomi per costruire una roccaforte culturale. Lo ammise Giovanni Raboni: "I grandi scrittori? Tutti di destra". D'Annunzio, Pirandello, Palazzeschi, Marinetti, Ungaretti, Tomasi di Lampedusa, Gadda, Montale. In Europa? Célin, Cioran, Drieu La Rochelle, Hesse, Jünger, Nietzsche. Si perde il conto. Nella sfera anglofona? Pound, TS Eliot, Yeats, Tolkien. Altri intellettuali da guardare con rispetto? Magari più recenti? Oriana Fallaci e Indro Montanelli, entrambi esponenti di un giornalismo onorevole, forte, vero. Scrittori contemporanei italiani ne abbiamo? Pietrangelo Buttafuoco, Francesco Giubilei, e tanti altri, tra cui validi giornalisti che si possono trovare sulle pagine de Il Giornale o de La Verità (con distinguo, naturalmente...).


La Lega poi, oltre a tutto questo, ha anche qualcosa in più. Una storia e un'identità a sé stanti, che ci permettono di differenziarci da tutto ciò che ci circonda. Non solo, dunque, i grandi baluardi del conservatorismo italiano e internazionale, ma anche i teorici del federalismo, da Émile Chanoux a Carlo Cattaneo, passando da Gianfranco Miglio. E come dimenticare il grande Gilberto Oneto, voce libera e pensatore straordinario.


Insomma, possiamo davvero sentirci orfani di un retaggio culturale adeguato? Scolliamoci di dosso questo senso di inferiorità e iniziamo a ribellarci al sistema. Iniziamo a essere realmente alternativa. Senza cultura non si va da nessuna parte.

In foto: Buttafuoco, Drieu La Rochelle, Miglio




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