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Le vie del federalismo: Bobbio rilegge Cattaneo

Norberto Bobbio è stato uno dei maître à penser del Novecento italiano. Formatosi nella stessa

Torino di Ginzburg e Pavese sotto la guida di Gioele Solari e Luigi Einaudi, partecipò alla Resistenza aderendo clandestinamente prima a Giustizia e Libertà e poi al Partito d’Azione. Negli anni Quaranta, quando il regime fascista diede i primi segni di cedimento, proliferarono opere storiografiche con una forte impronta politica, poiché lasciavano intravedere proposte per instaurare un nuovo Stato liberale analizzando il pensiero dei padri risorgimentali e suggerendo l’interpretazione storica della Resistenza come secondo Risorgimento, in quanto processo di liberazione dall’oppressione e di costruzione della nazione. A tal proposito, alcuni saggi significativi sono la Storia del liberalismo europeo di Guido de Ruggiero, L’opera politica del Conte di Cavour e Vincenzo Gioberti e la sua evoluzione politica di Adolfo Omodeo. Anche Bobbio, come i contemporanei, decise di formulare una proposta politica attingendo al patrimonio culturale dell’Italia migliore; egli non trattò né del liberalismo cavouriano né del democratismo mazziniano. Scrive Pier Paolo Portinaro, erede della cattedra di Bobbio presso l’Università degli Studi di Torino: «La preferenza andava a uno sconfitto, promotore di una terza via, tra quella realistica di Cavour e quella idealistica di Mazzini: la via del federalismo pragmatico e concreto di Carlo Cattaneo». Cattaneo, considerato tradizionalmente fra gli «sconfitti» dell’Ottocento, riscosse un discreto successo durante questo periodo: i Saggi sull’economia rurale furono curati da Luigi Einaudi, mentre le Considerazioni sul 1848 furono pubblicate da Cesare Spellanzon.


Nell’introduzione a una raccolta di scritti cattaneani, Stati Uniti d’Italia, completata fra il 1944 e il 1945, Bobbio sostenne che il pensiero federalista del filosofo milanese fosse antitetico allo strapotere burocratico-accentratore del fascismo essendo fondato sulla libertà, sul pluralismo e sull’autogoverno. Lo stesso Cattaneo sottolineò in una lettera a Lodovico Frapolli che «il federalismo è la teorica della libertà, l’unica possibil teorica della libertà». In un articolo pubblicato pochi mesi dopo la Liberazione, Bobbio individuò nel federalismo due questioni: la prima era una «mera questione di fatto», relativa ai problemi storici e geografici dell’assetto centralizzato, noti ed esposti da numerosi autori come Balbo o Gioberti; la seconda era invece una «questione di principio», cioè la predilezione ideologica per la libertà, intrinseca al federalismo. Bobbio apprezzò la proposta radicale di Cattaneo per l’ispirazione agli ideali di autogoverno democratico e per l’allergia alle forme di governo autoritarie e alle recrudescenze dittatoriali. La formula degli «Stati Uniti» non era valida solo per l’Italia, ma si estendeva anche in prospettiva paneuropea con lo scopo di mantenere la pace: «Avremo la pace quando avremo li Stati Uniti d’Europa». La visione di Cattaneo non è troppo lontana da quella di Bobbio, che sin dal Dopoguerra considerava «il federalismo fra gli Stati e il federalismo nell’interno di uno Stato» come «due facce dello stesso problema» e si auspicava l’istituzione di un ente sovranazionale che preservasse la pace e tutelasse la democrazia, avvicinandosi alle posizioni di cosmopolitismo pacifista del Manifesto di Ventotene. Nell’articolo precedentemente menzionato, Bobbio, che militava nel Partito d’Azione, movimento federalista, liberal-socialista e democratico, si pose il problema dell’assetto costituzionale. Scrisse che era necessario decidere se la Repubblica dovesse essere «unitaria, accentrata e cesarea come quella del Mazzini, oppure unitaria, ma articolata internamente con larghe autonomie regionali, come quella del Cattaneo». Per Bobbio egli si configurava come il pilastro su cui costruire la nuova Italia, liberata dall’oppressione fascista: internamente era necessario pensare la libertà come pluralismo, autogoverno e democrazia; esternamente come pace perpetua, per usare una voce kantiana.


Terminata l’esperienza azionista, rivelatasi fallimentare, Bobbio ritrovò in Cattaneo il modello di una filosofia civile per gli intellettuali che volevano dare il proprio contributo rimanendo estranei alla lotta politica. Bobbio continuò ad interrogarsi sull’incerto futuro della democrazia, sulla questione dei diritti umani, oscillando fra storicismo crociano e normativismo kelseniano, e sulla realizzazione di un socialismo di matrice liberale che perseguisse l’eguaglianza senza cadere nella statolatria.

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