Incomincia la seconda era di Donald Trump. Ecco il pensiero del nostro direttore.
He’s back. E chi ci credeva più? Chi ci sperava ancora? Quattro anni fa siamo rimasti assai scottati, quando gli stati blu sulla cartina statunitense superavano quelli rossi, quando Donald Trump veniva sconfitto — più o meno legittimamente — sia nel voto dei grandi elettori, sia nel voto popolare. Un debacle che portò al famigerato assalto al Campidoglio, evento che ancora oggi ci sembra incredibile, non perché metta in discussione l’ormai infelicemente tramontato mito della “più grande democrazia del mondo”, ma perché ci pare assurdo che nessuno, nella capitale della nazione più potente del mondo, abbia mosso un dito per fermare una piccola massa di texani disorganizzati con pellicce sintetiche di bisonte e volti imbastiti di stelle e strisce.

Insurrezione, colpo di stato, o marcia al limite del folclore: chiamatelo come volete, ma l’attacco del 6 gennaio 2021 sembrò dire definitivamente la parola ‘fine’ all’epoca Trump. Ci mettemmo il cuore in pace, più o meno, e accettammo passivamente di vivere quattro imbarazzanti anni di Sleepy Joe. E se, sotto il profilo memetico, l’amministrazione Biden — una sorta di circo degli orrori — ha regalato grandissime gioie, tra personaggi improponibili, scivoloni (letterali) e spassosissimi nonché ipnotici momenti di confusione del presidente uscente, gli aspetti egativi sono fin troppi da elencare.

Su tutti, due sono i più gravi: politica estera e politica culturale.
Sulla (s)politica culturale, un trionfo di vomitevole wokismo, che ha investito anche la società europea, che fino a qualche anno fa poteva vantare una certa resistenza all’orrida moda perbenista, arcobalenata e babbea che pervade da tempo la società americana. Per contro, abbiamo assistito in tutto il mondo a una compressione della libertà di espressione e di pensiero che, già nelle ultime settimane, sembra aver vissuto un punto di svolta, con l’eliminazione della tediosa figura dei fact-checkers di Meta (bravo Zuck, torna all’ovile!) e l’ormai consolidata posizione di Elon Musk nella sfera politica americana e, naturalmente, europea e mondiale (con buona pace di chi si indigna solo oggi, dopo 40 anni di silenzio, per le ingerenze americane).
Sulla politica estera, un autentico disastro. La guerra in Ucraina, provocata più dalle pressioni atlantiche ed europee che dalla pur aggressiva politica d’espansione di Putin, e il conseguente obbligo internazionale di finanziamenti forsennati all’impegno bellico ucraino; la crisi mediorientale, che ha provocato un inutile spargimento di sangue. Anche in questi frangenti si prospettano, finalmente, risoluzioni imminenti. E l’Europa può di nuovo respirare.

Insomma, sulle note di YMCA inizia la seconda era Trump. Ancora non sappiamo dire se sarà completamente positiva: certamente le prospettive sembrano essere esaltanti, se i cambiamenti promessi verranno rispettati. Per l’Europa e per l’Italia si aprono nuovi interessanti margini d’azione e i più scaltri sapranno rinegoziare la propria posizione strategica con l’alleato d’Oltreoceano. Speriamo di rientrare tra i più scaltri, almeno stavolta. Per ora, godiamoci il momento: fight, fight, fight!
E, per citare Luca Marinelli mentre interpreta l’innominabile in “M. Il figlio del secolo” — autentico capolavoro della commedia del nuovo millennio —: Make Italy Great Again.

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