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Noi e Abe-San. In memoriam.

Venerdì. In Giappone sono le 11:30, tarda mattinata. Da noi, in Italia, si dorme ancora. Sono le 4:30 e i mattinieri e i più attenti alla politica internazionale vengono subito a sapere la notizia. L’ex primo ministro giapponese Shinzo Abe viene colpito al petto da un colpo esploso da un'arma artigianale. Cinque ore dopo muore per le ferite riportate. Ancora nulla si sa sulle ragioni di un attentato che cristallizza uno stato di grandissima tensione che sta coinvolgendo il mondo intero in questi mesi. Vogliamo allora ripercorrere alcune tappe del percorso politico del primo ministro più longevo della storia del Giappone, tracciando alcune similitudini con il nostro Paese (e ricordando qualche scelta da cui forse dovremmo prendere spunto. (GS)


Shinzo Abe entrò nella storia già nel lontano 2006, quando diventò il più giovane premier giapponese dal secondo dopoguerra. Ricoprì nuovamente la carica di primo ministro dal 2012 al 2020, decidendo in quell’anno di ritirarsi dalla politica (ufficialmente per ragioni di salute, ndr) dopo nove anni complessivi di premierato.


Dovremmo forse ammirare la persona di Shinzo Abe, riconoscendo i meriti che l’ex premier nipponico ebbe nel risollevare il proprio Paese e cercando di trarre qualche insegnamento che sia utile per noi, italiani ed europei.


Giappone e Italia sono Paesi accomunati da problemi simili, si sente spesso dire. Entrambi i Paesi hanno perso un decennio – o forse più – in termini di crescita economica. Le iniziative macroeconomiche volute da Abe, che non a caso presero il nome di Abenomics, riuscirono a sollevare il Giappone da interi lustri di depressione economica grazie a una politica monetaria espansiva finanziata a deficit e ad una svalutazione dello yen che ha favorito il Paese del Sol Levante nelle esportazioni – anche e soprattutto in relazione alla minaccia posta dal gigante cinese, che il Giappone si trova ora affacciato alle finestre di casa. Tutto l’opposto di un’Italia e un'Unione Europea che faticano a uscire dalla logica dell’avanzo primario e del tetto al deficit.


Le somiglianze tra il Giappone di Abe e il nostro Paese riguardano anche il settore della Difesa: sia Tokyo che Roma si trovano in questa fase storica a dover rimodernare le proprie forze armate nei limiti imposti da una Costituzione di stampo risolutamente pacifista. È ascrivibile all’azione politica di Abe la volontà di trasformare il Giappone da un Paese pacifista in senso assoluto – ovvero dove l’impiego dell’esercito può essere invocato solo alla luce di minacce dirette al territorio nazionale – in un Paese promotore di un “pacifismo proattivo”, dove alle forze di autodifesa è richiesto di operare anche in scenari esteri dove siano da tutelare gli interessi di Tokyo – si pensi a Taiwan e alle tensioni nel Mar Cinese Meridionale – nel rispetto di un impianto costituzionale che comunque ripudia la guerra e vede nella diplomazia un valore primario. In Italia, il dibattito su un eventuale riarmo è forse quello più spinoso e foriero di polemiche di tutti, ma Abe ha mostrato al mondo come affrontarlo superando una certa retorica irenista sia divenuta una necessità, a fronte di sempre maggiori minacce emergenti, anche presso quei Paesi usciti sconfitti dalla Seconda guerra mondiale.


Insomma, questo addio toglie al nostro Paese un importante punto di riferimento internazionale che - siamo certi - ci troveremo a rimpiangere. Addio, Abe-San.

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